Il fotovoltaico organico è una delle tecnologie innovative a cui si guarda con interesse e sulla quale enti e aziende hanno investito molto in termini di ricerca e sviluppo. In particolare, l’OPV (organic photovoltaic), è stato protagonista della ricerca tra il 2005 e il 2015 e ancora oggi è in una fase per lo più sperimentale. Le sue potenzialità stanno nel fatto di poter essere applicato in vari ambiti, anche i più complicati, e può portare a determinati vantaggi rispetto al fotovoltaico tradizionale.

L’OPV si compone di celle solari di ultima generazione e, a differenza di quelle tradizionali che usano il silicio come assorbitore, queste si avvalgono di un polimero o una piccola cellula molecolare a base di carbonio. In sostanza lo strato in grado di assorbire l’energia del sole viene stampato su film plastici sottilissimi e flessibili che generano corrente elettrica. Le celle fotovoltaiche organiche presentano alcuni vantaggi rispetto ai pannelli tradizionali:

  • hanno in primo luogo un basso costo di produzione non solo dei materiali impiegati, ma anche le tecniche realizzative sono particolarmente economiche. I produttori possono utilizzare una procedura di lavorazione chiamata “roll-to-roll” che è utilizzata per applicare rivestimenti e stampe su un rotolo di materiale flessibile e comporta un abbassamento dei costi e una notevole riduzione dell’impatto ambientale;
  • questo tipo di fotovoltaico ha l’ulteriore vantaggio di essere usato per coprire immense estensioni e, in virtù della flessibilità dei moduli, sono facilmente applicabili su qualsiasi superficie (tegole, facciate, terrazze, tettucci delle automobili);
  • tra i benefici annoveriamo anche i tempi rapidi di installazione. Grazie alla versatilità che li contraddistingue possono essere impiegati anche nelle situazioni di emergenza. Essendo oltretutto molto leggeri, sono facilmente trasportabili e utilizzabili in tutte le situazioni di difficoltà come nelle zone devastate da disastri naturali nel caso di interruzione delle normali linee elettriche.

I limiti che questa tecnologia presenta consistono prevalentemente in:

  • scarsa efficienza di conversione di potenza in energia;
  • durata di vita utile.

L’efficienza delle celle organiche è nettamente inferiore a quelle tradizionali con un rapporto di produzione di energia pari al 20-25% delle celle in silicio contro il 12-14% di quelle OPV. Attualmente si è ancora lontani dal pensare all’applicazione su larga scala di tale tecnologia, ma l’auspicio è quello di una crescita importante nei prossimi anni e di un miglioramento sia nella resa che nella durata di vita utile. L’Italia è in prima linea nello sviluppo del fotovoltaico organico, il Centro Ricerche Eni Energie Rinnovabili e Ambientali di Novara fin dal 2007 sta lavorando sull’applicazione delle nanotecnologie al fotovoltaico e, in collaborazione con altri istituti di ricerca nazionali e internazionali, sta sviluppando vari progetti inerenti l’OPV. Un esempio tra tutti è l’inflatable OPV: un pallone gonfiabile coperto da sottilissimi pannelli fotovoltaici organici che può essere installato facilmente dove è richiesta una elettrificazione rapida, in particolare nelle situazioni di soccorso.

Un altro utilizzo potenzialmente interessante è quello di abbinare il fotovoltaico organico all’agrivoltaico. Una ricerca pubblicata su “Earth’s Future” mostra che la gestione della luce solare può essere utilizzata simultaneamente sia in favore dell’agricoltura che nella produzione di energia elettrica. Ciò accade tramite l’assorbimento mirato e selettivo della luce: l’OPV trattiene solo alcune parti dello spettro d’emissione per generare energia e lascia passare le parti che sono più utili alle piante.

Il problema che inibisce ancora oggi l’utilizzo diffuso di tali moduli è la loro mancanza di stabilità. Sotto il sole diretto infatti tendono a degradarsi più rapidamente perché la luce provoca l’ossidazione dei materiali, e di conseguenza la perdita di elettroni, determinandone la fine. Nel tentativo di risolvere questo problema un gruppo di ricercatori dell’Università della California a Los Angeles ha incorporato uno strato di L-glutatione (un integratore naturale con grandi proprietà antiossidanti) in celle semitrasparenti a base di carbonio. Questo evita la generazione di radicali sullo strato di trasporto degli elettroni sotto la luce del sole e impedisce la decomposizione strutturale dello strato fotoattivo durante il suo funzionamento. Le celle solari organiche così composte possono mantenere un’efficienza superiore all’80% del valore iniziale dopo 1000 ore di uso continuo. Senza l’interstrato la resa si riduce del 20%.

Il team ha effettuato un esperimento in merito realizzando tetti fotovoltaici trasparenti per serre al di sotto dei quali far crescere grano, fagioli e broccoli. È stato evidenziato che il raccolto di questa tipologia di serre è più abbondante rispetto alla medesima produzione in serre tradizionali. Gli scienziati ritengono che questo risultato sia dovuto all’utilizzo del L-glutatione che riesce a bloccare i raggi UV, inibitori della crescita vegetale, e i raggi infrarossi che possono causare il surriscaldamento dell’ambiente interno. Che sia davvero la nuova frontiera del fotovoltaico?